15.4.06

La storia di Lucio Colletti. Um modello teorico di estremo interesse.


O artigo a seguir é uma crítica que o professor e filósofo italiano Costanzo Preve - sobretudo um intelectual generoso - fez ao meu livro Perché il marxismo ha fallito. Lucio Colletti e la storia de una grande illusione, publicado na Itália pela Mondadori, em 2001. Marxista e anti-capitalista, Preve discorda dos argumentos e conclusões do livro (e de Colletti), mas diz que ele "merece ser lido".
(O original em português tem por título O declínio do marxismo e a herança hegeliana. Lucio Colletti e o debate italiano (1945-1991), Florianópolis, Editora da UFSC, 1999).

Colletti (foto) faleceu no final de 2001. Em sua homenagem, escrevi "Marxismo e dialética: uma herança fatal", publicado no livro Marxismo e ciências humanas (vários autores), São Paulo, Xamã Editora/Fapesp/Cemarx, 2003. O volume reúne os textos apresentados no II Colóquio Marx-Engels, promovido pelo Cemarx (Unicamp) em Campinas, em novembro de 2001. De minha parte, foi uma despedida do tema, mais que do autor e amigo.

1. La recente pubblicazione in lingua italiana di un libro di grande interesse storico e teorico (cfr. Orlando Tambosi, "Perché il marxismo ha fallito. Lucio Colletti e la storia di una grande illusione", Mondadori, Milano 2001, £. 38.000) può essere l'occasione per tornare su di un insieme di problemi ancora aperti. Oggi può sembrare che l'arco di temi filosofici e scientifici posti negli anni cinquanta e sessanta da Galvano Della Volpe e Lucio Colletti sia ormai pura archeologia ideologica ed oggetto di tesi di laurea di storia delle idee minori. Ma non è così. Oggi il "silenziamento" sulla discussione del marxismo, italiano ed internazionale, non è un fatto spontaneo della società civile delle persone colte, ma è un fatto politico voluto dai centri di potere editoriale, giornalistico ed universitario. Lo stesso libro di Tambosi, con tutta probabilità, esce semplicemente perché la Mondadori ha una sua berlusconiana strategia editoriale anticomunista, dal libro nero del comunismo all'ultima demenziale sintesi sul Novecento di Robert Conquest (cfr. "Il secolo delle idee assassine", Mondadori, Milano 2001). In ogni caso il libro di Tambosi, edito con il rituale congedo dal comunismo del suo autore, alter ego di Lucio Colletti, merita di essere letto e merita anche qualche commento.

Per chiarezza espositiva, tenendo conto anche della tirannia dello spazio, proporrò al lettore tre ordini di commenti. In primo luogo, è necessario tornare brevemente su Galvano della Volpe, il maestro di Colletti, il cosiddetto dellavolpismo come galileismo morale anti-hegeliano e sulla natura del suo programma di ricerca.. Su questo punto, dirò esplicitamente la mia opinione, per non lasciarla faticosamente indovinare da rimandi impliciti e poco chiari. In secondo luogo, naturalmente, bisogna parlare esplicitamente di Lucio Colletti, ma per poterlo fare in modo chiaro bisogna separare a mio avviso tre distinti problemi, e non confonderli. Primo, occorre proporre un bilancio, sia pure telegrafico, sul Colletti "marxista", o più esattamente sulle caratteristiche originali della sua interpretazione di Marx.

Secondo, occorre mettere a fuoco bene il nucleo teorico del "congedo" di Colletti dal marxismo, il modo in cui fu argomentato e la sua pertinenza specifica, indipendentemente da ogni moralismo regressivo sul suo essere traditore o "rinnegato", come fu fatto negli anni Settanta in modo ideologico, ma anche improprio. Terzo, occorre richiamare l'attenzione sul quarto di secolo (1975-2000) del Colletti post-marxista e anti-marxista e sulla sua pittoresca sterilità, per cui di Colletti è proprio possibile dire quello che a suo tempo Krahl ha detto di Adorno, per cui "non ha saputo congedarsi dal proprio congedo".

In terzo luogo, per finire, è bene fare alcuni rilievi specifici al libro di Tambosi, ed in particolare alla sua replicazione clonata del congedo dal marxismo, dal comunismo e dall'anti-capitalismo. Questo congedo unificato, che per questo è un congedo fasullo, è il vero problema teorico del libro, su cui varrà la pena dire qualcosa.

2. Galvano Della Volpe (1895-1968) è stato uno dei più grandi filosofi marxisti italiani del Novecento. Questo mio giudizio non è certamente dovuto ad una mia vicinanza alle sue tesi, da cui sono invece lontanissimo, situandomi anzi alle sue antipodi. A mio avviso, infatti, il marxismo, nella misura e nei limiti in cui può essere correttamente definito una scienza, più esattamente una scienza sociale unitaria dei modi di produzione sociali, non è una scienza nel senso della rivoluzione scientifica moderna, di Copernico e di Galileo, di Newton e di Darwin, ma è una scienza filosofica nel senso originariamente dato a questo termine da Fichte nel lontano 1794. Questa mia ferma e meditata convinzione sta agli antipodi di Della Volpe e di Colletti. Mantengo però il mio giudizio su Della Volpe come uno dei massimi filosofi italiani del Novecento, perché un giudizio storiografico non deve essere mai un giudizio di affinità o di elezione personali, ma sempre e solo un giudizio di livello di un pensiero e di effetto storico da esso avuto.

Della Volpe, considerato da molti un campione dello anti-hegelismo, o anche un campione della tradizione Aristotele-Kant opposta a quella Platone-Hegel, fu in realtà storicamente un prodotto della reazione italiana non tanto a Hegel, quanto a Benedetto Croce ed al crocianesimo, in compagnia di pensatori diversi come Nicola Abbagnano e Norberto Bobbio. Da un punto di vista teorico, la sua critica globale alla dialettica, integralmente ripresa da Lucio Colletti che poi trasformò la stessa critica alla dialettica in una metafisica positivistica di combattimento, non presenta assolutamente alcuna originalità storica, perché si tratta della ripresa pura e semplice, quasi fotocopiata, della critica già rivolta a suo tempo a Hegel nel 1840 nelle "Ricerche Logiche" di Trendelenburg. E' ovviamente il contesto storico ad essere diverso, in quanto fra il 1840 e il 1950 c'è in mezzo Marx, il marxismo e il problema del rapporto fra Hegel e Marx, che è poi il tradizionale modo sbagliato di indicare in forma fuorviante un problema completamente diverso, quello del rapporto fra filosofia e scienza, o più esattamente fra presupposto filosofico e metodo scientifico, in tutta la dottrina marxiana e poi marxista nelle sue varie forme antagonistiche.

Della Volpe propose di sviluppare il marxismo come "galileismo morale". Con questa espressione, per essere più analitici, si intende una scienza sociale costruita secondo il modello seicentesco di Galileo e non secondo il modello della scienza filosofica dell'idealismo tedesco di Fichte e di Hegel, un modello che viene visto come la ripresa moderna del neoplatonismo mistico, quanto di peggio e di più contrario ci sia alla scienza moderna. In proposito, la posizione di Della Volpe non si configura soltanto come un anticrocianesimo integrale, ma come un rifiuto radicale (per me incomprensibile) di prendere anche solo in esame le osservazioni di Husserl sull'impossibilità di applicare direttamente al mondo umano e sociale i modelli quantitativi e sperimentali della scienza seicentesca della natura. Queste osservazioni si possono accettare o respingere, ma sono comunque pertinenti, e non ce se ne libera semplicemente ignorandole o mettendole nei calderoni dell'irrazionalismo, della new age e dei tarocchi (secondo un'abitudine che poi Colletti portò a livelli tragicomici). Per chiarezza verso il lettore, mi trovo costretto nel prossimo punto a dire telegraficamente perché mi sembra che il modello del "galileismo morale" non sia compatibile con il progetto di Marx.

3. Nel lontano 1794 Fichte stabilì metodologicamente la differenza di principio fra quella che chiamava "logica formale" e quella che invece propose di connotare come "dottrina della scienza". La logica, scienza dell'uso corretto delle categorie del pensiero, si basa sulla separazione metodologica fra forma e contenuto, mentre la dottrina della scienza, che è una scienza filosofica (a differenza della logica che non lo è), presuppone un rapporto organico fra un soggetto che progetta, agisce e modifica ed un oggetto naturale e/o sociale che ne viene agito e modificato. E' noto che Fichte connotò questa soggettività umana agente e progettante come Io e questa oggettività naturale e sociale come Non-Io, ma non è questo per noi il nocciolo della questione.

Ed il nocciolo sta invece in ciò, che quando nel 1845 Karl Marx scrisse che i filosofi avevano fino ad allora soltanto diversamente interpretato il mondo, e si trattava ora di trasformarlo, egli non lascia dubbio alcuno di voler riprendere, in una nuova intenzionalità anticapitalistica e comunista, il programma proposto nel 1794 di una dottrina della scienza filosofica basata sulla centrale categoria di prassi. Detto del tutto incidentalmente, è per questo che quando Antonio Gramsci connota il marxismo come "filosofia della prassi" ha perfettamente ragione, almeno dal punto di vista teorico e filologico. Altra cosa, che non c'entra assolutamente nulla con questo, e che anzi fa solo confusione, è se Gramsci fosse o no storicista, e se il marxismo sia o no uno storicismo, cosa che, sulla scorta della critica di Louis Althusser, io ovviamente non credo assolutamente. Ma qui non è di questo che si parla. Qui si sottolinea il fatto che sul piano concettuale la proposta di Della Volpe è confutata preventivamente dal Marx del 1845, che ribadisce la propria adesione, implicita ma anche filologicamente incontrovertibile, ad una concezione di scienza filosofica in senso fichtiano. Per il momento, come si vede, non è neppure necessario introdurre la variante Hegel, che possiamo lasciare ancora dormire tranquilla.

4. A fianco della (per me errata) connotazione del marxismo come scienza non filosofica e come galileismo morale c'è un secondo punto gravido di future confusioni in Della Volpe, e cioè l'equazione fra materialismo e metodo scientifico (si intende: galileiano-newtoniano-darwiniano). Questa equazione a mio avviso non tiene, lasciando perdere per brevità il fatto storico incontrovertibile che la genesi storica e teorica del metodo scientifico galileiano moderno è stata pitagorica, platonica, antiaristotelica ed antimaterialistica. Ma non insisto per carità di patria. Il materialismo non c'entra infatti quasi nulla con il metodo scientifico (più esattamente, con i metodi scientifici differenziati in varie scienze particolari, con protocolli distintivi ed incommensurabili), trattandosi di una concezione filosofica del mondo. Per fare solo un esempio, in contemporanea con Della Volpe ci fu Sebastiano Timpanaro, che propose una concezione leopardiana e naturalistica del materialismo (cui aderì poi in tarda età anche Cesare Luporini), e ci fu Ludovico Geymonat, che propose il materialismo come concezione del mondo dei progressisti e dei comunisti. Ma qui Della Volpe sconta la mancata distinzione di principio fra scienza, filosofia ed ideologia, o più esattamente fra sfera scientifica (con il suo oggetto ed il suo metodo) , sfera filosofica (con il suo oggetto ed il suo metodo) ed infine sfera ideologica (con il suo oggetto ed il suo metodo). Egli sottoponeva bensì a critiche le varie ideologie contemporanee che rifiutava, ma vedendole solo come errore, falsità ed ignoranza, non riusciva a cogliere nell'ideologia la forma normale di organizzazione classisticamente determinata del fisiologico rispecchiamento quotidiano del mondo. Eppure, tutto ciò si poteva capire anche allora. A modo suo Althusser lo capì, e questa è a mio avviso la ragione principale della vittoria schiacciante dell'althusserismo sul dellavolpismo nel campo dei marxismi anti-hegeliani nella seconda metà del Novecento. Ma lo capì ancora meglio il vecchio Lukács, che costruì la sua ontologia dell'essere sociale proprio a partire dal rispecchiamento quotidiano del mondo.

5. Nonostante le due critiche di principio ricordate precedentemente nei punti 3 e 4 riconfermo il mio giudizio storico (storico, non teorico) estremamente positivo su Della Volpe ed il primo dellavolpismo, almeno fino al 1968. E questo per molte ragioni, di cui qui per brevità ne ricorderò solo due. In primo luogo, la proposta dellavolpiana di concepire il metodo marxista come critica delle ipostasi (cioè delle fissazioni astoriche scambiate per storicità) e pensiero delle astrazioni determinate e non generiche (ad esempio non produzione, ma produzione capitalistica, non lavoro produttivo, ma lavoro produttivo capitalistico, eccetera) fu realmente eversiva, rispetto alla pappa pasticciona del generico storicismo progressistico del primo decennio del PCI togliattiano. In secondo luogo, è possibile sostenere (ed è infatti la mia personale opinione storiografica, di cui Raniero Panzieri è un chiaro esempio) che il dellavolpismo diede la forma, e l'operaismo diede poi il contenuto, della nuova sintesi teorica che la nuova sinistra elaborò negli anni Sessanta. Questa nuova sintesi non si contrappose a Palmiro Togliatti ed al togliattismo, che sono cose che con Antonio Gramsci ed il gramscismo non c'entrano proprio niente. In proposito, non essendoci lo spazio per argomentarlo, rimando il lettore alle pagine filosofiche di Gramsci contro il determinismo come religione delle masse subalterne, che è appunto la religione progressistica con cui le masse togliattiane furono modellate ed intrise in nome di uno storicismo il cui esito segreto (ma parzialmente prevedibile già allora) fu il buonismo cattivissimo di Veltroni ed il sorriso cinico di Massimo D'Alema durante la sua gestione della guera imperiale del Kosovo del 1999. Ma su questo stendiamo per pudore un velo pietoso.

6. I precedenti richiami ci permettono di affrontare il problema del primo Lucio Colletti, il Colletti dellavolpiano, il Colletti marxista, il Colletti originale. Su questo Colletti rimando anche ad una tesi originale sostenuta all'università di Roma nel 1999-2000 dalla giovane studiosa Cristina Corradi, che ricostruisce analiticamente l'intero itinerario filosofico di Lucio Colletti in modo documentato e plausibile. Qui mi limito per brevità a mettere a fuoco quello che resta a mio avviso il contributo maggiormente positivo e convincente del Colletti marxista, la sua vera e propria pars costruens, la messa in evidenza della centralità della nozione marxiana di "rapporti sociali di produzione". Non fosse che per questa sola cosuccia, Colletti meriterebbe già una menzione positiva.
Ricordo qui solo incidentalmente la pars destruens di Colletti, peraltro integralmente dellavolpiana, contro il romanzo cosmologico-positivistico denominato "materialismo dialettico" (Diamat), che con l'originario contributo teorico (a mio avviso non intenzionale e pertanto con responsabilità solo indiretta) di Engels prima e di Lenin poi, ma con l'integrale innocenza di Marx, Stalin impose agli apparati ideologici di partito ed ai sistemi scolastici di stato dell'intero comunismo storico novecentesco, e che durò fino al 1991, sintomo secondario ma interessante della totale irriformabilità del baraccone. Io condivido al 100% la critica distruttrice di Colletti, anche se non posso fare a meno di notare che l'epica battaglia fra Della Volpe e Colletti, da una parte, ed Engels e Lenin, dall'altra, è pur sempre una guerra civile fra polli dello stesso pollaio, fermamente uniti nel volere entrambi una fondazione puramente scientifica e non filosofica della dottrina del materialismo storico marxista, e nel connotare entrambi come "idealistica" (con uso semantico dispregiativo della parola) ogni concezione di autonomia della conoscenza filosofica distinta da quella scientifica. Ma trascuriamo pure questo punto, peraltro non marginale, anche se non essenziale nell'economia del mio bilancio critico.

Tornando alla centralità collettiana dei "rapporti sociali di produzione", è bene rilevare che nel contesto della congiuntura culturale di quegli anni (fine anni Sessanta - inizio anni Settanta) questa centralità era difesa anche dalla parallela scuola althusseriana e dai suoi esponenti italiani (Gianfranco Lagrassa eccetera), oltre che ovviamente dalla pratica politica della nuova sinistra dei gruppi, di cui abbiamo già ricordato precedentemente la genesi ad un tempo dellavolpiana ed operaistica. Colletti arriva a questo concetto attraverso la sua particolare strada, quella della critica alle ipostasi e della astrazione determinata, e quella dell'integrale autonomizzazione del materialismo storico, come scienza appunto della dinamica storica dei rapporti sociali di produzione, sia dallo scorrimento progressista del tempo dello storicismo sia dall'incorporazione nel romanzo cosmologico del materialismo dialettico. Fu questo, a mio avviso, che diede meritatamente (e sottolineo apposta questo avverbio) fama internazionale a Colletti. Si sentiva il bisogno di un marxista che ristabilisse il fondamento teorico del comunismo nei rapporti sociali di produzione. Fu questo che piacque, e che entusiasmò (e qui posso tranquillamente fare anche un riferimento personale, perché anch'io ne fui entusiasmato, e per un certo tempo fui anche un propagandista gratuito all'estero del pensiero di Colletti). Ed ecco che, improvvisamente, lo sperato teorico annunciato della centralità dei rapporti sociali di produzione diventava il teorico del congedo radicale da ogni tipo di marxismo. Questo passaggio dal dottor Jekill a mister Hide merita una riflessione.

7. Nel prossimo punto 8 ricorderò il nucleo centrale del rifiuto di Colletti del marxismo come scienza, la distinzione fra opposizioni reali come conflitti scientificamente determinabili e contraddizioni dialettiche come sviluppi di un impianto neoplatonico ed hegeliano, strutturalmente mistico, messianico e religioso. Ma per cogliere bene questo punto, bisogna fare un piccolo passo indietro, e ricordare la cosiddetta ipotesi Colletti-Napoleoni (che è in realtà farina pressoché integrale del sacco di Colletti), fatta all'inizio degli anni Settanta, e che resta uno dei punti alti della storia del marxismo italiano del Novecento. E' interessante che sia Lucio Colletti sia Claudio Napoleoni (purtroppo mancato nel 1988) siano entrambi nati nel 1924, ed abbiano per un breve periodo condiviso la stessa concezione, da cui poi trassero conclusioni opposte. In breve, si tratta dell'equazione fra la teoria (economica) del valore e la teoria (filosofica) dell'alienazione in Marx, o più esattamente del fatto che lo scambio delle merci in base al tempo di lavoro sociale incorporato in esse (con connesso plusvalore dovuto alla proprietà capitalistica delle condizioni della produzione) sia solo il riflesso di un mondo rovesciato, alienato, estraniato, a testa in giù. A distanza di trent'anni, io trovo ancora questa teoria molto intelligente, di un marxismo addirittura più che ortodosso. Ma questa equazione fra economia (dello sfruttamento) e filosofia (dell'alienazione) doveva portare Napoleoni ad una concezione a metà fra cattolicesimo messianico della redenzione ed heideggerismo destinale della tecnica, mentre appunto Colletti non poteva sopportarla, perché vedeva il (per lui) insopportabile presupposto filosofico inserirsi con prepotenza a falsificare logicamente ogni sogno di galileismo morale non dialettico e soprattutto no filosofico.

8. La scoperta dell'identità fra teoria del valore e teoria dell'alienazione fu per Colletti solo l'anticamera della liquidazione del marxismo come pseudoscienza basata sul presupposto di una contraddizione dialettica originaria miticamente derivata da un Intero che si rovescia e che si deve poi necessariamente ricomporre (nel comunismo). In proposito, non c'è qui assolutamente lo spazio per discutere adeguatamente della questione, e mi limiterò a tre sole osservazioni. In primo luogo, la scoperta del carattere mitico, e quindi insostenibile, del carattere metafisicamente originario della contraddizione fu in quegli anni patrimonio di molti pensatori, dallo Althusser giustamente critico dei miti delle Origini, del Soggetto e del Fine (critica su base spinoziana, essendo Spinoza un autore cruciale stranamente assente in Della Volpe e Colletti) al Lyotard critico delle grandi narrazioni teleologiche a base ideologica. Non mi soffermo ulteriormente su questo, perché personalmente condivido in modo pressoché integrale le impostazioni di Althussere di Lyotard, e considero i marxisti che non ne sono ancora venuti a conoscenza o che non le hanno ancora prese in considerazione come degli eremiti ignari che nel frattempo hanno scoperto la luce elettrica. Occorre qui ricordare, a bassa voce ma con forza, che la stupidità e la pigrizia non sono mai né interlocutori né argomenti.

In secondo luogo, bisogna ricordare che l'assimilazione fatta da Colletti del metodo dialettico di Marx e quello neoplatonico, con conseguente distacco antimetafisico inevitabile, non è assolutamente un dato scontato da registrare. Personalmente, non ne sono neppure convinto. In proposito, senza avere lo spazio per motivarlo, richiamo qui la corretta interpretazione di Enrico Berti, che invece considera pienamente compatibile il metodo marxiano con quello aristotelico (cfr. AAVV, "La contraddizione", Città Nuova, Roma 1977 e Enrico Berti, "Logica aristotelica e dialettica", Cappelli, Bologna 1983). In breve, il metodo di Marx non è una forma di neoplatonismo o di ricomposizione mistica finale di un Intero originario presupposto, anche se l'ideologia di salvezza del movimento operaio prima socialista e poi comunista lo ha così spesso sciaguratamente interpretato. E dunque Colletti non può liquidare e confutare Marx, ma soltanto l'orrenda ideologia teleologica di legittimazione dei suoi seguaci peggiori.

9. E veniamo ora alla terza osservazione, quella decisiva, che ci fa finalmente ritornare al libro di Tambosi. Tambosi fa credere, ed anzi sostiene apertamente, che una confutazione logica di una ideologia teleologica può essere, e legittimamente è, non solo la causa psicologica scatenante, ma anche la ragione strutturale di legittimazione dell'abbandono non solo del marxismo teorico e del comunismo politico, ma anche dell'anticapitalismo come modo di essere storico nel mondo. Tutto questo è assolutamente inaccettabile, anche perché è semplicemente inesatto.. Qui vi sono fenomeni distinti, che è del tutto assurdo mettere insieme. Ad esempio, il divorzio e la secessione dalla comunità culturale del "popolo di sinistra" o dei militanti comunisti di base è un processo storico-psicologico, non certo teorico-filosofico, e come tale deve essere trattato. Analogamente, il "non credere più nel comunismo", litania oggi molto ripetuta da ex-dogmatici persecutori del vecchio marxismo critico, non è un'affermazione dotata di statuto teorico, ma è solo un'irrilevante affermazione esistenziale di qualcuno che un tempo aveva una fede ed una religione, ed ora non ce l'ha più, ed è in preda al nichilismo ed alla morte di Dio. Marx non c'entrava niente prima, e non c'entra niente adesso. In quanto all'indispensabile decostruzione del nucleo metafisico del marxismo (operazione che personalmente conduco da almeno venti anni), so bene che questa decostruzione è odiata da dogmatici e fanatici di vario tipo, ma anche che essa è un presupposto fisiologico della ricostruzione di un punto di vista anticapitalistico aggiornato. Marx fu l'iniziatore della critica filosofico-scientifica al capitalismo, così come Colombo fu lo scopritore dell'America, che però pensava fosse soltanto l'India. Se però oggi chiamiamo l'America dal nome di Vespucci, è anche perché Vespucci affermò che si trattava di un continente nuovo. Ma nessuno penserebbe con questo che bisogna prima rinnegare Colombo.

Tambosi, questo alterego accademico brasiliano di Colletti, fa capire che una confutazione logica può legittimare integralmente l'abbandono di un punto di vista anticapitalistico. Ma l'abbandono dell'anticapitalismo non è una crisi epistemologica, ma è una sorta di riorientamento gestaltico totale dell'insieme dei punti di vista sociali ed antropologici, una sorta di deconversione olistica che mette in moto l'intera struttura psichica, emotiva e caratteriale, un vero e proprio terremoto esistenziale che modifica radicalmente l'intera percezione del senso della propria vita. Colletti ed il suo seguace carioca Tambosi non mi convinceranno mai che basta la confutazione matematica della trasformazione dei valori in prezzi di produzione o il chiarimento della distinzione fra opposizione reale e contraddizione dialettica per spiegare l'adesione esistenziale alla necessità dell'impero americano o alla guerra del Kosovo del 1999. Mi prendano pure per cretino, ma solo fino ad un certo punto.

10. Detto questo, consiglio egualmente il libro di Tambosi, che per gente della mia età è anche un tuffo nella giovinezza. Lucio Colletti continua ad essermi umanamente simpatico, berlusconiano o meno, perché ho un debole per le persone creative, originali ed intelligenti, che mi hanno fatto pensare, anche solo per respingerle. Ma non posso fare a meno di rilevare, in conclusione, che quest'uomo da almeno vent'anni è completamente sterile, e si limita a tuonare in favore della scienza e contro l'irrazionalismo, come se ci fossero qui i talebani e gli inquisitori a minacciare il rogo per Veronesi e la Levi Montalcini. Ma oggi la tecnoscienza si difende benissimo da sola, senza bisogno dell'aiuto di Colletti. Lo invito, pertanto, a non insistere nella tradizione italiana, per cui corriamo sempre in soccorso dello stanco vincitore. Oggi Bill Gates e Soros, ed anche Berlusconi, possono fare a meno di lui. Ma sono sicuro che lo sa già benissimo, e che quindi è inutile fargli ancora delle prediche.

(Fonte: Kelebek )

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